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La mobilità? In fase di “svoltare”

L’automobile era un tempo simbolo di progresso e indipendenza. Oggi, a un secolo di distanza, l’oggetto sinonimo di libertà è sempre più spesso vittima del traffico ed è responsabile dell’inquinamento atmosferico delle grandi metropoli del pianeta. La mobilità del XXI secolo deve per forza parlare la lingua dell’innovazione. Scopriamo le città e le tecnologie che testimoniano come sia possibile superare le sfide del nostro tempo.

Dal 2000 Shanghai sta costruendo una moderna rete metropolitana. Con una estensione di oltre 500 chilometri, è una delle più lunghe reti di metro sotterranee e sopraelevate.

Smog, traffico, parcheggi limitati: le città di tutto il mondo soffrono ogni giorno di più, mentre le strade sono invase da sciami di macchine. Le automobili, un tempo simbolo di libertà, sono sottoposte a vincoli e limitazioni.  Nei giorni di massimo inquinamento atmosferico, in città come Parigi, Pechino o San Paolo, le auto viaggiano a targhe alterne: oggi, a Shangai, una targa può arrivare a costare quanto una macchina di piccole dimensioni. La società di logistica UPS ha investito enormi risorse in un sistema GPS esclusivo che permette ai veicoli di evitare quasi del tutto le svolte a sinistra, allo scopo di risparmiare tempo e carburante.

Tante sono le idee, perché una cosa è ormai chiara: l’approccio alla mobilità dovrà cambiare, specie nelle grandi metropoli del mondo. Gli attuali sistemi di gestione del traffico non sono più in grado di gestire masse di persone che si riversano nelle grandi città. Secondo uno studio del Centre for Economics and Business Research (CEBR), realizzato per conto di INRIX, azienda leader nel campo delle informazioni in tempo reale sul traffico stradale, gli ingorghi di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania - da soli - costano alle economie di tutto il mondo circa 180 miliardi di euro (200 miliardi di dollari) e ad ogni persona circa 111 ore del proprio tempo, ogni anno. Da qui al 2030, i costi economici aumenteranno del 50%, a causa dei volumi di traffico in continua crescita.

Ripensare alla mobilità, ripensare all’energia

È irreale immaginare che la gente abbandoni del tutto le macchine: esse avranno un ruolo molto diverso, nelle nostre vite, in futuro. “Per molte generazioni, la macchina è stata un vero e proprio status symbol”, racconta Peter Newman, PhD, Professore di Sostenibilità presso la Curtin University in Australia ed ex membro del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC). “Tuttavia, in molti Paesi, il ‘peak car’ è stato raggiunto e superato”.  Sebbene l’espressione ‘peak car’ sia meno conosciuta della famosa ‘peak oil’ (che descrive il momento in cui si è toccato il massimo livello di produzione di petrolio su scala globale), il concetto è chiaro: il regno dell’automobile sta per finire, secondo il Professor Newman. A Perth, come a New York e Berlino, i giovani sono sempre meno interessati a possedere un’auto. Il numero di macchine vendute a questo specifico target inizia a precipitare, nonostante la rapida espansione di alcune economie. Per quanto si tratti di un fenomeno visibile soprattutto nelle aree metropolitane di alcuni Paesi industrializzati, esso rappresenta sicuramente una piccola rivoluzione. Secondo l’Ufficio Federale di Statistica, nel 2013 circa il 30% delle famiglie delle principali città tedesche non possedeva né una macchina né una moto. Nell’arco di soli dieci anni, la cifra è notevolmente cresciuta rispetto al livello del 22% registrato nel 2003.

Questa trasformazione, che coinvolge l’intera società, porta Newman a sperare che il famoso target dei 2 gradi centigradi (come dato della stabilizzazione della temperatura media del pianeta) fissato dall’IPCC possa essere davvero raggiunto. È convinto che le città più ecologiche non saranno più dominate dalle macchine, ma si affideranno sempre di più a collegamenti intelligenti fra le diverse modalità di trasporto, auto, treni, autobus, biciclette e moto. Il futuro del trasporto sarà l’intermodalità. Importante sarà trovare il modo più efficiente per arrivare dal punto A al punto B, e non più la forma di trasporto utilizzata.

“Per molte generazioni, la macchina era un vero e proprio status symbol. Tuttavia, in molti Paesi, il ‘peak car’ è già stato raggiunto e superato."

Peter Newman, PhD, Professore di Sostenibilità presso la Curtin University in Australia

Newman, in particolare, è interessato ai cambiamenti cui stiamo assistendo nelle metropoli di Cina e Stati Uniti, i due più grandi emettitori di gas effetto serra. In effetti sono tanti i fenomeni in atto. Negli anni ’90, Shangai inseguiva ancora il modello americano: si costruivano autostrade e si sostituivano le biciclette con le vetture. La direzione era dunque quella dei grandi ingorghi stradali. Tuttavia, agli inizi del nuovo millennio, questa metropoli di 24 milioni di abitanti ha cercato di invertire la rotta, investendo sempre di più in metropolitane e line ferroviarie sopraelevate. Nell’arco di soli dieci anni, Shangai è riuscita a costruire il più grande sistema di metropolitane al mondo, con oltre 500 chilometri di linee, per un totale di circa otto milioni di passeggeri ogni giorno. In tutta la Cina, sono 86 le nuove linee metropolitane costruite fino ad oggi.

Negli Stati Uniti, Paese conosciuto per avere il peggiore sistema di trasporto pubblico di tutto il mondo occidentale, sempre più città stanno seguendo l’esempio di Portland: negli ultimi 30 anni la città ha scelto di non costruire più autostrade o tangenziali, ma ha invece investito nel recupero del proprio sistema tranviario.  Nel 2013 l’agenzia americana per le notizie AP ha contato ben 30 progetti tranviari in tutto il Paese, sottolineando come i tracciati degli attuali binari siano esattamente gli stessi degli anni ’50 e ’60.

Il futuro è elettrico: le città europee, in particolare, per le proprie reti di trasporto urbano utilizzano sempre più spesso gli autobus elettrici, come ad esempio ad Amburgo, in Germania.
L’America Latina ha scoperto i piaceri della teleferica. A La Paz, la più estesa città della Bolivia, questo sistema si farà carico di circa il 15% del trasporto pubblico.
La BMW i3 non solo vanta un innovativo motore elettrico, ma è anche ultra leggera, grazie alle fibre di carbonio della carrozzeria che compensano il peso della batteria.

Il car sharing si conquista la corsia veloce

Alternative aeree

L’America Latina, nel frattempo, riscopre il fascino delle funivie. In Bolivia, a La Paz, la capitale più alta al mondo, è stata avviata la costruzione della più estesa rete teleferica urbana al mondo.

Nove linee, per un totale di 30 chilometri, che al completamento potrebbero rappresentare circa il 15% del trasporto pubblico: i pendolari imbottigliati nelle loro macchine o sugli autobus, su e giù per le tortuose strade della città, potranno da oggi raggiungere la vicina El Alto in soli 17 minuti. Il sistema di telecabine ha costi di funzionamento e di manutenzione così bassi da diventare un’alternativa anche per i governi con maggiori limitazioni di budget.

Nel frattempo, in Europa, le linee urbane dei bus, un tempo grande fonte di gas di scarico, sono sostituite dagli equivalenti mezzi elettrici. Mannheim in Germania e Milton Keynes in Inghilterra stanno testando i primi e-bus in grado di ricaricarsi in modalità wireless in corrispondenza delle fermate. Il principio – a mutate dimensioni - è simile a quello degli spazzolini elettrici. Ora il sistema deve crescere di scala nel modo più efficiente possibile, con istallazioni sotto il manto stradale. Se il progetto pilota si dimostrerà efficace, i ricercatori sperano di poter passare alla fase successiva e sviluppare autobus in grado di ricaricarsi mentre percorrono corsie dedicate.

L’espansione e l’elettrificazione dei veicoli per il trasporto pubblico sono solo il primo passo; sul lungo periodo, secondo Newman, saranno sempre di più i veicoli a motore elettrico. Secondo le stime del U.S. Energy Information Administration (EIA), soltanto negli Stati Uniti ogni giorno si consumano circa 20 milioni di barili di petrolio, il 72% dei quali è destinato al settore dei trasporti. Su scala globale, il trasporto rappresenta il 51% degli oltre 90 milioni di barili di petrolio consumati ogni giorno. Secondo le stime dell’IPCC delle Nazioni Unite, se le cose non dovessero cambiare, la concentrazione di CO2 crescerà così tanto che entro la fine del secolo la temperatura sul pianeta potrebbe aumentare dai 3,7 ai 4,8 gradi centigradi.

Tuttavia, almeno per ora, l’elettromobilità e i veicoli ibridi continuano a rappresentare dei mercati di nicchia. Il primo passo per ridurre le emissioni, un processo in atto da diversi anni, consiste nell’aumentare l’efficienza dei motori a combustione e delle tecnologie delle marmitte catalitiche: è facile immaginare che i veicoli a benzina non verranno soppiantati dall’oggi al domani. Un recente studio commissionato da Shell prevede che in Germania le macchine con motore a combustione continueranno a dominare il mercato per i prossimi 25 anni. Si stima che veicoli a motore ibrido conquisteranno una quota di mercato del 27% solo nel 2040. Gli autori del rapporto sono convinti che le macchine elettriche, o a celle a combustibile, rappresenteranno circa il 5% del totale dei veicoli.

La ragione per cui le macchine elettriche non hanno ancora ottenuto accesso al mercato di massa sono innanzitutto la limitata autonomia delle batterie e la mancanza di adeguate infrastrutture per la ricarica, oltre al fatto che il loro prezzo continua ad essere di circa un terzo superiore rispetto a vetture della stessa categoria con motori a combustione, commenta Axel Thielmann, Vice Responsabile del Competence Center Emerging Technologies presso il Fraunhofer Institute for Systems and Innovation Research (ISI).

Alla ricerca delle batterie di domani 


I ricercatori stanno lavorando alacremente su quella che rappresenterà la vera svolta: abbassare il prezzo delle batterie e allungarne la durata, attraverso maggiore densità energetica e quindi minor peso. Il problema è che, spesso, una proprietà tanto agognata porta con sè un prezzo piuttosto alto: maggiore autonomia e maggiore capacità delle batterie significano costi e peso più elevati, mentre minori costi e peso più contenuto equivalgono ad una capacità della batteria più limitata. Il NCM ad alta energia, una miscela speciale ottimizzata di nikel, cobalto e manganese, è un materiale promettente, che potrebbe offrire una via d’uscita. Questo materiale catodico, di cui anche BASF detiene una licenza, potrebbe portare le batterie al litio verso nuovi livelli di prestazione. In un’indagine condotta da Fraunhofer ISI fra 91 esperti internazionali in materia di batterie, gli intervistati hanno indicato la tecnologia NCM come la soluzione tecnologica che più di altre ha la possibilità di diventare la “terza generazione” di batterie al litio, che permetterebbero nei prossimi anni di abbassare il prezzo delle e-car e di dar loro maggiore autonomia su strada. La ricerca non si ferma: nei prossimi 10, 20 anni potrebbero essere pronte per la commercializzazione anche tecnologie rivoluzionarie come il solfuro di litio. BASF è fortemente coinvolta in tutti questi progetti: fra il 2011 e il 2016, l’azienda prevede di investire diverse centinaia di milioni di euro in ricerca, sviluppo e produzione di materiali innovativi per batterie (si veda il rapporto Battery Materials Lab a pagina 22).

Le batterie non sono l’unica componente chiamata a diventare più leggera e più potente allo stesso tempo: anche le carrozzerie delle auto devono alleggerirsi, perché a ogni chilo in più corrisponde un maggiore consumo di energia. La BMW i3, una city car compatta, è la prima automobile elettrica di una grande casa costruttrice tedesca ad usare fibre di carbonio al posto del metallo all’interno dell’abitacolo. In passato, questo materiale così difficile da produrre era usato quasi esclusivamente per le macchine da corsa di Formula1 e per le costruzioni aereospaziali. “La novità che consente questa produzione di massa risiede nell’abbinamento delle fibre di carbonio con una matrice in poliuretano”, spiega Guiscard Glück, Vice Presidente Nuovi Mercati e Prodotti della divisione BASF Performance Materials. “La scocca del sedile posteriore autoportante è costruita usando la schiuma BASF Elastolit® e risponde ai più alti standard di sicurezza, nonostante uno spessore di soli 1,4 millimetri. Inoltre, per rafforzare la carrozzeria in carbonio, sono stati usati oltre venti componenti realizzate in plastica ingegneristica, riducendo così in maniera sostanziale il peso di questa vettura”. La BMW i3 pesa 1.195 chili, quasi lo stesso peso della cugina, la MINI a benzina. La MINI ha però una lunghezza più contenuta e non è dotata di una batteria al litio da 230 chili.

La storia d’amore con i veicoli a quattro ruote, elettrici o a motore a benzina, porta con sè altre sfide, per le grandi città del mondo. La metà dei residenti di una grande metropoli viaggia in macchina, e l’altra metà utilizza i trasporti pubblici, però i passeggeri delle automobili assorbono oltre il 90% della superficie stradale, provocando traffico e imbottigliamenti.

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Un robotaxi a guida autonoma è in grado di scaricare i passeggeri a destinazione e poi recuperare i successivi, eliminando in questo modo il tempo sprecato a cercare parcheggio.

Robotaxi per sconfiggere gli ingorghi

Se le macchine potessero circolare senza autista a bordo, le nostre strade sarebbero sgombre come lo erano nel XIX secolo, o almeno così sostiene Raúl Rojas, Professore di Intelligenze Artificiali presso la Free University di Berlino. Grazie ad una pianificazione intelligente dei percorsi, questi instancabili chauffer potrebbero facilmente trasportare quattro o più persone contemporaneamente, trasformando la macchina in un taxi condiviso. Tutto questo darebbe i suoi frutti: un’analisi su 150 milioni di viaggi in taxi su tutta Manhattan condotta dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha scoperto che il numero di spostamenti potrebbe essere ridotto del 40%, se ciascun taxi ammettesse a bordo un secondo passeggero. Sergy Brin, cofondatore di Google, ha più volte ripetuto, nelle sue interviste, che in futuro sempre meno persone avranno una macchina di proprietà. L’enorme numero di macchine private è già causa di enormi tensioni, nelle comunità. Nelle ore di punta, un terzo delle automobili in circolazione nelle città può essere riconducibile a persone che cercano parcheggio, afferma Brin: questo non si verificherebbe se potessimo contare su macchine senza autista in grado di scaricare i passeggeri alle proprie destinazioni e poi di recuperarli alla fermata successiva.

All’inizio di quest’anno, una Audi A7 a cui è stato dato il nome Jack, ha dimostrato quanto le case automobilistiche siano vicine a raggiungere il sogno di una macchina senza autista. Dotata di sensori radar, scanner laser e videocamere 3D per una visione panoramica a 360 gradi, Jack è riuscita a muoversi in modalità pilota automatico per circa 900 chilometri dalla Silicon Valley fino a Las Vegas. Toccando la velocità massima di 110 chilometri, il prototipo realizzato dalla collegata Volkswagen è in grado di cambiare corsia e superare altri veicoli senza alcuna assistenza umana.

“Siamo sempre più vicini ad avere una macchina senza pilota.”

Professor Dr. Jürgen Leohold, Direttore esecutivo della Ricerca presso il Gruppo Volkswagen Group

Al pilota “umano” spetta comunque il controllo del volante all’interno dei circuiti urbani, visto l’alto livello di imprevedibilità dei movimenti spontanei di ciclisti, pedoni e bambini. Entro la fine di questo decennio, la tecnologia potrà uscire dalla fase di test, dando il via alla produzione Audi di serie. “Siamo sempre più vicini ad avere una macchina senza pilota”, commenta Jürgen Leohold, Direttore Esecutivo Ricerche del Gruppo Volkswagen. Tuttavia, ci vorranno fra i 10 e i 15 anni prima di riuscire a produrre veicoli a guida completamente autonoma, in grado di concedere al pilota il tempo per un sonnellino o per la lettura dei quotidiani. Prima di allora, sarà necessario lavorare affinché la macchina riesca a riconoscere qualsiasi evento inatteso. I veicoli intelligenti diventeranno comunque realtà molto presto, Leohold ne è convinto. “Dobbiamo fare in modo che sappiano rispondere ai bisogni di una società moderna. Questo tipo di veicoli ridurrà il numero di incidenti e di ingorghi sulle strade, concedendo a chi guida qualche minuto di relax durante il viaggio. Non sono solo le case automobilistiche a lavorare su questo tipo di automobili: anche aziende come Apple e Google, che in passato avevano ben poco a che fare con il settore auto, oggi si stanno facendo strada in questo mercato.

La tecnologia non è la sola preoccupazione del capo ricerca della Volkswagen. Trovare nuove aree di business è altrettanto elettrizzante, racconta. “Con abilità ci muoviamo nel settore auto, ora stiamo imparando sempre di più in quello dell’IT”, aggiunge Leohold. I dati sul traffico, il prezzo della benzina, la disponibilità di aree di parcheggio: quali sono i servizi di cui chi guida necessita, per una migliore mobilità? Non dimentichiamo poi che che la concorrenza è sempre attenta e in movimento: la BMW, ad esempio, ha sviluppato per le proprie macchine un sistema per il calcolo del percorso che tiene conto dei mezzi pubblici di trasporto, come pure dei servizi di noleggio delle biciclette. In prossimità di una grossa città, il software fornisce consigli ad esempio su dove prelevare una bici o dove salire su un treno o una metropolitana, nel caso questo cambio di modalità consentisse di risparmiare tempo sul percorso.

Sebbene ci siano grandi speranze che la digitalizzazione e il continuo scambio di dati fra veicoli, infrastrutture intelligenti, semafori e cantieri possano offrire enormi opportunità in grado di rendere la guida più sicura e migliorare il traffico delle città, la tecnologia da sola non potrà riuscire a risolvere le sfide che ingaggiano le nostre città.

Pedoni e ciclisti hanno la priorità su queste strade: l’esempio di Copenaghen ha ispirato diverse altre città, come New York.

Migliorare la qualità di vita

Tanti altri i temi vanno contestualmente presidiati. “Affinché una città sia davvero vivibile, il passo deve essere quello dei pedoni o al massimo dei ciclisti, non quello delle macchine”, sostiene Jan Gehl. Da oltre 40 anni, Gehl, Professore Emerito di Architettura e uno dei più influenti urbanisti al mondo, si è occupato di come la mobilità e l’architettura delle nostre città si colleghino alla qualità della vita. Il fatto che una città come Copenaghen sia stata premiata per tre volte come la città più vivibile al mondo è prova di come il professore abbia ragione. Il movimento che ha visto pedoni e ciclisti lentamente reimpossessarsi della città è nato nel lontano 1962, quando la prima strada del centro venne chiusa al traffico delle auto. All’epoca, i negozianti protestarono per paura di veder crollare le vendite, ma in realtà le attività commerciali iniziarono a fiorire. Negli anni successivi, sempre più strade di Copenaghen furono trasformate in aree pedonali e, grazie al supporto scientifico di Gehl e del suo team di ricerca, i marciapiedi vennero allargati e fu costruita da zero una vera rete ciclabile all’interno dell’area urbana. Oggi tutte le 18 piazze pubbliche del centro città sono escluse al traffico delle auto, il 45% dei residenti di Copenaghen va al lavoro in bicicletta e gli autisti dei taxi sono obbligati ad avere un porta-bici sul proprio veicolo per poter ottenere la licenza.

Le idee di Gehl hanno ispirato anche gli addetti all’urbanistica della città di New York. Nel maggio del 2009, Broadway è stata chiusa ai veicoli tutto intorno all’area di Times Square. Sebbene alcuni pensassero che l’esperimento sarebbe stato un vero fallimento, secondo i calcoli del Dipartimento dei Trasporti il flusso del traffico migliorò addirittura del 7%. Le corse in taxi furono del 17% più rapide. La città decise di allargare i marciapiedi e cominciò a costruire un’ampia rete di corsie ciclabili che attraversano l’intera città. Nell’arco di due anni, il numero dei ciclisti è raddoppiato. Da allora Madison Square e altre 11 piazze sono state trasformate in aree chiuse al traffico delle auto.

“Affinché una città sia vivibile, il passo deve essere quello dei pedoni o dei ciclisti, non quello delle macchine.”

Jan Gehl, PhD e Professore Emerito di Architettura, Royal Danish Academy of Fine Arts, School of Architecture

Questo nuovo modo di guardare alle aree cittadine si sta diffondendo in diverse città del mondo. Oggi Copenaghen, la metropoli modello, comincia ad avere a che fare con le conseguenze del suo successo. Negli ultimi tempi le piste ciclabili mostrano un certo grado di congestione. Durante le ore di punta, i ciclisti devono a volte attendere per tre volte che il semaforo diventi verde, prima di poter attraversare la strada. Nelle aree pedonali più amate per lo shopping, i residenti e i negozianti hanno dovuto assistere al lievitare dei prezzi degli affitti. La risposta di Jan Gehl è molto semplice: “Abbiamo solo bisogno di costruire nuove piste ciclabili e più zone pedonali”.

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